Nel 2015, la NASA distrusse oltre 300 nastri magnetici e due computer delle missioni Apollo, ritrovati in una cantina di un ex ingegnere IBM. I materiali, in grave degrado e contaminati da muffe, furono giudicati privi di valore storico per la mancanza di metadati e catalogazione. Tra i nastri identificabili c’erano dati delle missioni Pioneer, Helios e Intelsat IV, ma molti erano illeggibili. La decisione sollevò polemiche, anche per un misterioso numero di contratto non registrato. Critici sostengono che, con tecnologie moderne, quei dati avrebbero potuto rivelare nuovi dettagli sull’era spaziale, ormai perduti per sempre.